''Dopo Vaia ritmi serrati per le nostre imprese, ma la richiesta di prodotti sempre più ecologici aiuta il comparto''

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Christian Morasso
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 Quello del legno, almeno per il Trentino, è sicuramente uno dei settori di peso che contribuisce in larga misura all’economia provinciale con le oltre 1600 aziende attive, di queste circa 1300 riunite nell’Associazione Artigiani Trentino.

 

Una cinquantina di queste maestranze trentine saranno presenti alla prima edizione di " A .....come legno " la manifestazione che raccoglie l’eredità della triennale del legno, arricchendola e rinnovandola con nuovi eventi e aprendo le porte anche a semplici appassionati e curiosi che potranno vedere da vicino e toccare con mano le varie fasi di produzione e i molteplici impieghi di questo duttile materiale.

 

Ma come spiegato da Jacopo Pedrotti, referente della categoria legno per conto dell’Associazione artigiani Trentino, si tratta di un settore molto articolato che abbraccia varie imprese diverse che seguono l’intera filiera. Si parte dalle aziende di primo taglio, parliamo di boscaioli, poi c’è la prima lavorazione con segherie e imprese di imballaggi, fino ad arrivare all'ultima fase con carpentieri che usano il legno e falegnami che costruiscono arredi e serramenti.

 

Il settore di chi lavora il legno, in particolare di chi si occupa di falegnameria e carpenterie, è molto legato all’andamento del mercato delle case, anche per questo negli ultimi anni ha subito di riflesso la crisi che ha colpito il settore immobiliare. “Seppur con lentezza il settore sta ripartendo – afferma Pedrotti – questo grazie anche all’impegno dei nostri artigiani nel costruire prodotti sempre più performanti e sostenibili, seguendo le indicazioni ecologiche”.

 

A proposito di sostenibilità possiamo dire che tra le peculiarità del Trentino c’è il fatto che i boschi ricoprono una superficie di 390.463 ettari, pari al 63% del territorio provinciale. Di queste foreste il 76% è rappresentato da proprietà pubbliche, mentre il 24% appartiene a privati. Le prime sono tutte soggette a regolare pianificazione, così come le proprietà private di maggiore consistenza.

 

“Questo è sicuramente un vantaggio, le nostre foreste sono certificate Pefc, garanzia del fatto che le materie prime legnose per carta e prodotti in legno trentini derivano da foreste gestite in maniera sostenibile”. Ma non solo, il rispetto delle foreste coinvolge l’intera filiera del legno, compreso anche chi nel settore lavora, che sempre con maggiore attenzione guarda alla sostenibilità ambientale.

 

In questo senso il settore che consuma la maggior parte del legname è quello delle segherie e degli imballaggi, che in termini produzione incide notevolmente sul mercato italiano. Ma c’è di più: l’andamento di questo settore è una cartina tornasole per capire in anticipo le oscillazioni dell’economia e conoscere lo stato di salute dell’industria.

 

Se ci sono grandi ordini di imballaggi significa che anche il settore industriale è in salute e di conseguenza farà da traino per tutto il resto. Al contrario se non c’è richiesta di imballaggi vorrà dire che anche la produzione industriale sta per subire una contrazione.

 

“Con qualche mese di anticipo possiamo sapere cosa aspettarci, ad esempio fino ad ora la richiesta è stata buona ma nell’ultimo periodo, dalla fine di agosto, stiamo registrando una leggera flessione – evidenzia il rappresentante dell’associazione artigiani – in questo periodo è tutto sommato fisiologico ma pare che il trend negativo si stia prolungando un po’ più del solito, per questo rimaniamo allerta”.

 

Tra le sfide imposte al settore c’è sicuramente quella del post Vaia che ha avuto gravi ripercussioni sull’intera filiera, stravolgendo il mercato ma soprattutto il modo di lavorare delle imprese.

 

Un dato su tutti: la tempesta ha schiantato 4milioni di metri cubi di legname, lo stesso volume che le aziende trentine avrebbero tagliato in almeno 9 anni di lavoro.

 

Ciò significa doversi rapportare con un quantitativo immenso di materiale che va lavorato nel minor tempo possibile per evitare che si degradi al contatto del suolo, assalito da insetti e funghi. Come conseguenza della grande disponibilità di legname poi, si deve fare i conti con l’abbassamento dei prezzi, problema che coinvolge tanto le imprese quanto le amministrazioni che facevano affidamento sugli incassi derivanti da queste vendite.

 

“Le imprese si sono trovate a dover lavorare molto più del solito e tenendo ritmi serrati con rischi per la sicurezza e l’incertezza di riuscire a vendere il legname. Ma le conseguenze – continua Pedrotti – le vedremo solo tra qualche anno, se in un primo momento, con il crollo dei prezzi, qualcuno poteva essersi avvantaggiato ora tutto ciò si ripercuote sull’intera filiera”. Sullo sfondo restano quindi gli interrogativi ai quali si cercherà di dare una risposta con una serie di conferenze che si terranno all’interno della kermesse “A… come legno”.

 

Altra problematica legata al grande volume di alberi schiantati è la gestione del cippato “già prima le nostre centrali a biomassa assorbivano solo una parte dello scarto prodotto dal taglio degli alberi, il resto finiva ad alimentare impianti delle regioni limitrofe, ora visto l’aumento esponenziale si dovrà capire come sfruttare questo surplus senza lasciarlo marcire nei boschi”. Anche questo argomento sarà trattato in un evento ad hoc durante la manifestazione dedicata alla filiera del legno.

 

C’è poi un ultimo grande problema che attanaglia questo lavoro, ma che più in generale riguarda l’intero settore dell’artigianato: la mancanza di manodopera qualificata, carenza di giovani che vogliano intraprendere questa carriera.

 

Il fenomeno è emerso in particolar modo quando il settore ha mostrato segni di ripresa dopo dalla crisi degli anni scorsi, e dopo la forte richiesta di lavoratori dettata da Vaia “Riceviamo spesso telefonate di professionisti che faticano a trovare giovani, alcune scuole professionali stanno attivando percorsi diversi per la formazione di addetti per le segherie però parliamo sempre di numeri risicati, insufficienti per soddisfare la richiesta”.

 

Inoltre l’età media avanza e molti dipendenti stanno andando in pensione mettendo le aziende in difficoltà che non cercano solo operai ma anche tecnici e periti, “formare un ragazzo da zero richiede anni affinché diventi autonomo, le scuole dovrebbero fornire basi migliori”.

 

In più bisogna superare quello che è un vero e proprio problema culturale: “C’è una considerazione errata che grava su questo settore, la vulgata vuole che solo i ragazzi meno dotati debbano iscriversi alle scuole professionali, giudicate come un ripiego di serie B – sottolinea Pedrotti – ma tutto ciò è distante dalla realtà, chi esce da una di queste scuole molto spesso sa già dove sarà assunto ancor prima di finire il percorso di studi garantendosi un lavoro sicuro e con uno stipendio di tutto rispetto”.

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