Crac Cesi, 403 lavoratori a rischio. E Legacoop vuole creare un polo anti-crisi

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Christian Morasso
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Una maxi cooperativa per salvare tre consorzi in difficoltà e la Cesi di Imola. Il cui fallimento potrebbe tradursi in 403 posti di lavoro persi, ma anche “in una breccia nel muro” per tutta la categoria. E parallelamente ridisegnare, entro i prossimi 3 o 4 anni, il comparto cooperativo regionale, costruendo tre consorzi principali in grado di fare fronte al nuovo mercato, indebolito dalla crisi economica. E’ questo il piano annunciato dal numero uno di Legacoop Emilia RomagnaGiovanni Monti, che sulle ceneri della più importante cooperativa del territorio imolese, finita in liquidazione, vorrebbe costruire una new company in grado di assorbire al suo interno anche le altre società collettive in crisi nel resto della regione. Cioè, oltre a Cesi, la Iter di Ravenna, che oggi è in concordato preventivo,Coop Costruzioni di Bologna e Cdc di Modena. Una coop delle coop, insomma, da affiancare ai tre grandi consorzi a cui Legacoop sta lavorando in tutta la regione, tre poli delle costruzioni – Reggio Emilia, formato da Cmr EdileSitecoUnieco e Coopsette, poi Carpi con Cmb e Ravenna con Cmc– che dovrebbero essere in grado di gestire eventuali effetti negativi generati dalla crisi Cesi e dalla recessione. E al contempo prendere in carico appalti nazionali e internazionali.

“Creare un polo unico sicuramente aiuterà il comparto a fare fronte alle possibili ripercussioni della crisi Cesi, perché dimostreremo che c’è un progetto di rigenerazione industriale che non si limita a prendere atto di un fallimento”, spiega Monti, che siede sulla poltrona occupata fino al 2002 dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, imolese doc, salito poi al vertice di Legacoop nazionale. Il piano è ancora in fase di elaborazione. Per quanto riguarda Cesi, ad esempio, sarà il commissario liquidatore a individuare un eventuale ramo d’azienda da dare in affitto. Ma Legacoop, il capitano al timone di un settore, quello delle cooperative, che in Emilia Romagna ha un suo peso specifico, farà la sua offerta. “Vorremmo costruire una sorta di contenitore dove far confluire parte di Cesi e parte di Iter – racconta Monti – e successivamente anche Cdc e Coop Costruzioni. A meno che non ripartano gli appalti pubblici e le attività private, che un tempo valevano 1 miliardo di euro contro gli appena 100 milioni di euro di oggi, i lavoratori non potranno entrare tutti nella nuova società, quindi dovremo individuare anche un percorso di ammortizzatori sociali e nuove dimensioni d’impresa per coprire le esigenze di lavoro. Come Fico, ad esempio”. Cioè la “Disneyland del cibo” bolognese di Oscar Farinetti

Un’idea sulla quale le quattro cooperative in questione non si sono ancora espresse in maniera definitiva, ma, assicura Monti, “si sono dette interessate”. Come Iter di Ravenna, ad esempio. “Siamo assolutamente propensi all’idea di veder andare in porto il progetto di Legacoop Emilia Romagna – spiega il presidente della cooperativa ravennate Daniele Lolli – Il tavolo regionale delle cooperative è già parte attiva per lavorare a questa soluzione”. “I tempi non saranno brevi, ogni cooperativa in questione si trova in una situazione diversa”. E tuttavia l’obiettivo è farcela entro due anni, partendo proprio dai consorzi che versano in maggiori difficoltà, per evitare che, come le tessere del domino, le situazioni di crisi contagino anche le cooperative ‘sane’.

“In Emilia Romagna il mondo della cooperativa edile, 10mila addetti, è formato da grandi e piccole società legate tra loro a doppio filo – spiega Cristina Raghitta, segretario regionale della Fillea Cisl – perché spesso gli appalti più importanti vengono presi in carico dal Ccc, il Consorzio cooperative costruzioni, che poi li affida alle proprie associate, le quali in alcuni casi per gestire i lavori costituiscono Ati, associazioni temporanee di impresa. Per questo se una di queste cooperative fallisce le ripercussioni potrebbero colpire anche altri consorzi”.

E il fallimento della Cesi, cooperativa con quasi un secolo di attività alle spalle, oggi cardine del progetto newco di Legacoop, sembra ormai inevitabile. Dopo anni di crisi del settore edilizio, con un debito complessivo di quasi 400 milioni di euro, 1.125 creditori che aspettano di essere pagati e progetti di fusione con altre società mai andati in porto, infatti, è stata avviata una procedura di “liquidazione coatta” dell’azienda. Che presto potrebbe lasciare senza lavoro 403 operai, 311 dei quali soci della cooperativa, che nella Cesi avevano investito trattamento di fine rapporto e spesso i risparmi di una vita. A questi lavoratori, che in caso di chiusura rischiano di rimanere anche senza ammortizzatori sociali a causa della riforma Fornero, si sommano le circa 6mila famiglie di quanti operano nell’indotto. L’obiettivo, tuttavia, non è solo garantire un sostegno al reddito per i dipendenti, dare continuità aziendale al consorzio imolese e cercare di ridurne il debito. “Bisogna tamponare la ferita che la liquidazione coatta di Cesi potrebbe inferire al sistema cooperativo regionale”, spiega Raghitta. E per ora l’unica carta sul tavolo è il progetto di Legacoop, che vorrebbe ridurre il numero degli attori in campo tra Modena, Bologna e Ravenna, amalgamando ciò che delle società in crisi si può salvare. Il primo cittadino di Imola, Daniele Manca, non si sbilancia ma fa sapere: “Valuteremo i progetti industriali che garantiscano un futuro al settore delle costruzioni nel territorio imolese, la valorizzazione delle competenze e delle professionalità, la salvaguardia dell’indotto”.

A mettere le mani avanti, per quanto riguarda il progetto del maxi polo che Legacoop vorrebbe costruire sulla via Emilia, è invece la Cgil: “La cooperazione ci presenti il piano industriale, ma sia chiaro che come sindacato non potremo in alcun modo condividere l’idea di fare scorpori di singoli cantieri, salvando solo temporaneamente alcune decine di posti di lavoro, perché questo rappresenterebbe un disastro per centinaia di lavoratori. Le prime revoche di importanti appalti sembrerebbero purtroppo confermare questa ipotesi”. “I tempi sono stretti, gli strumenti sociali in edilizia hanno una dorata solo di alcuni mesi – ricordano le Camere del Lavoro di Bologna, Imola, Ravenna ed Emilia Romagna in una nota congiunta – quindi serve chiarezza, altrimenti”, e il messaggio è rivolto sia al governo, con il ministro Poletti che il 21 luglio incontrerà i lavoratori della Cesi, sia al Pd, che a Imola è al governo, oltre che a Legacoop, “si rischia di fare solo speculazione,di strumentalizzare politicamente una vicenda che riguarda la vita concreta di centinaia di persone in carne ed ossa e delle loro famiglie”.

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